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Un luogo come un altro

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Un luogo come un altro, mi appariva nuovo ma non estraneo. Poteva richiamare alla mente l'immagine serale di u n aeroporto. Luci ammiccanti e lontane, un velo di nebbia. Mi pervenne un brusio di voci. Due donne parlavano fitto fitto tra loro, aguzzai lo sguardo senza riuscire a vederle, ma notai che una piccola folla si avvicinava, come fosse venuta ad accogliermi, Cercai tra loro mio padre, lo avrei riconosciuto sebbene fossero passati tanti anni, forse stavolta avrei potuto dirgli le cose che per pudore gli avevo sempre taciuto. I nostri rapporti erano sempre stati buoni, ma tra noi c'era sempre stato come un muro: non per colpa sua, non per colpa mia, lo avevamo costruito insieme. Ecco, avremmo potuto parlare di quel muro oancora una volta non avremmo osato in presenza di altre persone.
Chi erano?
<riconobbi Renzo. La sua storia di emigrato somiglia un po' a tutte le storie d'esilio. "Il mio cuore ama ovunque il suo destino d'esilio" aveva scritto Henry Gaberel, ma Renzo non lo amava. Scriveva lunghe lettere in principi per lamentarsene, lettere che si somigliavano tutte per uncomune denominatore di pena, poi non ne scrisse più né io gliene scrissi, e non per mancanza di tempo, il tempo lo trovavo per fare le cose che ritenevo importanti e lui, Renzo, aveva finito di esserlo. Veniva avanti, quasi zoppicando, assieme al fratello Michele, quello che suonava la chitarra, amava i fiori di plastica che io detestavo, amava una ragaza, Flora. Detestavo pure quella.
Michele suonava la chitarra, quella era la cosa che faceva meglio, e certi pomeriggi d'estate univa la sua voce al coro dei grilli.
- E la chitarra? - gli chiesi quando si fu avicinato.
- Non la suono più.
Ecco, fai una cosa bela, la fai con tanto amore e un bel giorno smetti. Il pane non ti viene dalla chitarra e tu hai bisogno di pane perché hai sposato una ragaza, che magari non è nemmeno Flora, la ragazza ti dà dei figli e anch'essi vogliono pane. Oh, Michele!
Vorrei chiedergli di Ninetta, la sorella più giovane per la quale avevo preso una cotta: l'estate che la conobbi portava un cappello di paglia che la faceva sembrare una bambola, aveva un piccolo neo poco sopra le labbra, i capelli di spighe mature  e qualcosa che non so dire che mi dava, ad un tempo, una gioia e una sofferenza che alla gioia somigliava, talvolta.
Perché non siamo fuggiti insieme quando era tempo di farlo? L'avrei pure sposata per quel neo, quei capelli, quel cappello che la faceva somigliare ad un'altra, a tante altre e mai a lei sola.
Esito: vorrei che la mia sembrasse una domanda come un'altra. Michele legge nei miei pensieri:
- Ninetta è...
- Non dirmelo.

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